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Il mondo senza stereotipi

Il mondo è pieno di stereotipi e di pregiudizi, ma come sarebbe il mondo tra 20 anni se non ci fossero più questi stereotipi?
Secondo me cambierebbero moltissime cose.
La cosa forse più banale che mi viene in mente è la discriminante del colore della pelle; infatti in un ipotetico futuro senza pregiudizi e stereotipi i neri verrebbero accolti nella società di oggi come persone normalissime.
Non ho citato i migranti per un semplice motivo: in questo mondo utopico non ci sarebbe neanche la guerra e quindi neanche i migranti che scappano da essa, anche se vi è una parte di migranti che emigra per cause naturali.
Girando per le strade ci sarebbe inoltre una quiete surreale, in cui tutti stanno bene con tutti.
Un’altra cosa che cambierebbe sicuramente è il nome dei lavori.
Come citato in classe, vi è una forte discriminante per cui le donne non possono fare alcuni lavori, o comunque sembra strano che lo facciano.
Per concludere, secondo me sparirebbe qualsiasi tipo di presa in giro. Senza stereotipi una persona non verrebbe presa in giro perché è grassa oppure perché è poco intelligente.

A cura di Matteo Garelli, allievo della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna

Fra vent’anni

Oggi viviamo in un mondo con molti pregiudizi e stereotipi, i pregiudizi fanno si che persone vengano giudicate prima che siano conosciute, spesso in modo negativo.
Simili sono gli stereotipi: anche loro ci fanno apparire il mondo più aspro e cattivo.
I pregiudizi e le discriminazioni tra uomo e donna sono molti, ad esempio: gli uomini vengono pagati più delle donne, fanno più carriera…
Fra vent’anni ci aspettiamo che si raggiunga la parità fra uomo e donna.
Per vivere in armonia con gli altri bisognerebbe non giudicare le persone dal loro aspetto fisico o da come si comportano e non essere influenzati dai pensieri altrui.

A cura di Francesca, allieva della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna

Il ragazzo della spiaggia

Un giorno in spiaggia vidi insultare una persona di colore soltanto perché aveva fatto un punto all’altra squadra giocando a pallavolo.
Gli urlavano addosso insulti, ma dopo un po’ un ragazzo lo difese dicendo a tutti: “Basta dire nero di …solo perché ha fatto un punto!”.
Allora, il ragazzo di colore lo ringraziò e gli altri, avendo assistito a questa scena cominciarono ad incitarlo.
Con il passare del tempo, grazie al tifo, il ragazzo di colore divenne sempre più bravo e tutti i giorni mentre giocava, aveva un gran sorriso.
A fine estate però, nessuno vedeva più il ragazzo di colore e ci si chiedeva tutti il perché.
Un signore disse che era stato preso in una squadra di pallavolo così, quelli del bar della spiaggia offrirono da bere a tutti.

A cura di Jacopo Germinario, allievo della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna

Sii ciò che vuoi, sempre

La storia che oggi racconto parla di un ragazzo senegalese di nome Samuel.
Samuel era un ragazzo di 29 anni, proveniente dal Senegal, che aveva dovuto abbandonare tutta la sua famiglia ed il suo lavoro per venire qui in Italia alla ricerca di una vita migliore e soprattutto un lavoro migliore e condizioni di vita migliori di prima.
Ho detto “era”, infatti, perché Samuel è stato picchiato a sangue e ucciso da 4 ragazzi di circa 17/18 anni solo perché era Nero, di colore, cioè un colore di pelle diverso dal loro. Una cosa inspiegabile.
Perché succedono ancora queste cose?
Perché dobbiamo andare avanti in questo modo? Dovremo farlo ancora per molto?
Quando è che finiranno questi stupidi ed insignificanti pregiudizi?

Ognuno dovrebbe vivere con il fatto che nessuno è superiore a nessun altro, che non sei migliore se giudichi una persona senza nemmeno conoscerla, sulla base di un pregiudizio, cosa del tutto sbagliata da fare.

Ognuno di noi è libero di essere ciò che vuole e diventare ciò vuole, indipendentemente da quello che gli altri pensano.
Devi essere felice con te stesso e non far felice gli altri.

sii ciò che vuoi, sempre

A cura di Martina Tromboni, allieva della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna

Amici a scuola

Mi ricordo, quando eravamo alle elementari, molti avevano dei problemi ad andare d’accordo.
Si formavano molti gruppetti, molte persone che giocavano con i sentimenti altrui ma ora, per molte persone, si è sistemato tutto.
Alle elementari c’era un bambino che veniva spesso escluso dai giochi e dei lavoretti di gruppo e solo dalla quinta elementare abbiamo iniziato, quasi tutti, ad andare d’accordo.
Veniva spesso preso in giro per il suo aspetto e lui ci rimaneva molto male, andava spesso dalle maestre a lamentarsi di qualcuno, ma sembrava,quasi, che non importasse nessuno.
Le maestre intervenivano sgridando i bambini ma solo dopo tanto tempo riuscirono a far andare d’accordo questo bambino con il resto della classe.
Ci facevano fare tanti lavori in cui, i gruppi venivano decisi dalle insegnati e, a quanto pare, è servito, perché dopo tanto tempo, esattamente in quinta elementare, siamo riusciti ad andare d’accordo restando ,anche oggi, tutti amici.

A cura di Federica Pesaresi, allieva della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna

Il mondo fra vent’anni

Secondo me ,un mondo senza pregiudizi o stereotipi, non sarebbe più lo stesso.
Quasi tutti al nostre affermazioni si basano su di esse e questo vorrebbe dire che noi sapremo già tutto.
Al momento ci dobbiamo ancora adattare al pensiero che una donna possa fare il lavoro di un uomo, e questo sembra già difficile di suo!
Le donne, ancora al giorno d’oggi, vengono immaginate come delle domestiche che devono badare solo alla casa e alla famiglia a differenza di altre che svolgono dei lavori piuttosto “tosti” mentre noi non ce ne rendiamo conto.
Ma se dovesse succedere che tra vent’anni il mondo sarà vuoto di stereotipi e pregiudizi, secondo me, si tornerebbe all’età dell’industrializzazione, ovvero che le donne avranno lo stesso ruolo, nel industria, degli uomini.

A cura di Federica Pesaresi, allieva della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna

AGATHA E SOFIA

Sofia aveva sei anni, era una bellissima bambina, capelli biondi color del grano, grandi occhi color nocciola scintillanti e pelle rosea e luminosa.
Sua madre Sara e suo padre Thomas erano benestanti e avevano una bella casa con un giardino in cui la bambina poteva giocare con le sue bambole.

Un giorno, appena entrata in classe, con i suoi capelli biondi perfettamente arricciati e il vestitino turchese perfettamente stirato, sentii la sua maestra entrare annunciando che avrebbero avuto una nuova compagna di classe.

Agatha entrò timidamente. Non conosceva nessuno di quei bambini che la fissavano. Occhi di vari colori posati su di lei, curiosi. Straniti.
<bambini!! silenzio per favore!! Lei è Agatha, sarà la nostra nuova compagna di classe!!> esclamò la giovane donna entusiasta, battendo una sola volta le mani.
Silenzio assoluto.
L’eco del battito andò piano piano spegnendosi come lo sfrigolio del fuoco a contatto dell’acqua.
Nessuno si mosse.
Nessun “ciao!!”.
Nessun sorriso gentile.
Solo occhi chiari e scuri puntati su di lei.
Occhi curiosi.
Occhi scrutatori.
Anche occhi spaventati.
Aghata dopotutto se lo aspettava. Mamma Naomi le aveva detto che era solo da poco tempo che a “quelli come loro” era concesso di frequentare di nuovo liberamente i luoghi pubblici come la scuola; e che probabilmente quasi nessuno sarebbe stato gentile con lei all’inizio.
<ciao..> disse con voce timida e sottile la bambina dalla pelle scura. I capelli ricci e scuri come l’ebano le cadevano morbidamente sulla schiena, in contrasto con il vestitino color panna.
<forza Agatha, puoi sederti vicino a Sofia, la bambina con il vestito azzurro.> le disse dolcemente la maestra.
Agatha si limitò ad annuire timidamente e sfilò con passo insicuro tra i suoi nuovi compagni di banco sedendosi nel banco vuoto vicino alla biondina.

Sofia osservò con curiosità la nuova arrivata sedersi a fianco a lei. Non aveva mai visto una persona dalla pelle così scura; all’inizio pensò che fosse dipinta, ma dovette ricredersi quando la vide grattarsi un braccio e rimanere dello stesso color cioccolata.
Mamma Sara le aveva detto che erano cattive persone, che venivano nel loro paese solo per rubare e fare del male alla gente; ma a lei sembrava impossibile che una bambina con un viso così dolce come Aghata potesse fare una cosa tanto brutta.
Decise di volerla conoscere.
Voleva diventare sua amica.

Appena iniziata la ricreazione, maestra Giulia vide i suoi giovani studenti e studentesse uscire nel cortile ridendo e studiando con allegria. Le venne spontaneo sorridere. Fare l’insegnante e prendersi cura cura dei bambini era un mestiere che aveva sempre sognato di fare, ed era riuscita a realizzarlo. Si girò lisciandosi la lunga gonna scura dopo essersi assicurata che nessuno dei suoi alunni era in imminente pericolo di morte e vide che due delle sue alunne erano rimaste sedute ai loro banchi a chiacchierare. O meglio, Sofia parlava gesticolando animatamente mentre Agatha ridacchiava timidamente alle sue buffe espressioni.
Maestra Giulia si avvicinò a loro chinandosi sulle ginocchia alla loro altezza.
<ragazze! Forza uscite, oggi c’è il sole, non vorrete rimanere qui al chiuso con questo bel tempo vero?> disse sorridendo.
Fu Sofia ad agire, prendendo per mano la sua nuova amica Agatha e portandola fuori in giardino.

Agatha stette in un silenzio imbarazzato mentre la biondina la trascinava allegramente all’aperto facendola sedere affianco a lei su un basso muretto di pietra.
Sofia le stava raccontando della sua grande e luminosa casa, descrisse tanto abilmente l’abitazione che poteva quasi sentire la sua risata di bambina mentre giovava con la sua gattina Mery, oppure il profumo di piatti appena sfornati mischiarsi alla dolce essenza delle rose che mamma Sara teneva su un tavolino in salotto..
Agatha tutto quell’agio se lo poteva solo immaginare; certo, aveva una bella casa anche lei, ma sicuramente non così grande e bella come quella dell’amica.
Papà Gabriel aveva lavorato per tanti anni come operaio finché il suo capo, un certo Emanuele dal cuore buono, aveva notato come lui raccontava bene le storie per i compagni più stanchi, per motivarli a continuare il lavoro. Lo aveva preso con sé ed in poco tempo lo aveva fatto diventare un uomo influente nella letteratura; rendendo parecchio famosi i suoi romanzi. Con i soldi che ne aveva ricavato aveva comprato una bella casa nel quartiere ricco della città; cosa che aveva provocato anche scandalo. Ora mamma Naomi non doveva più cucinare tutti i giorni, sua sorella Maria non doveva più lavorare come cameriera nei bar malmessi, sua sorella Cristina non doveva più accontentare ogni desiderio che le chiedeva il suo capo e suo fratello Manuel poteva smettere di lavorare a quindici anni e tutti e tre potevano finalmente realizzare il loro sogno di studiare per fare un lavoro ben pagato, seguendo le loro passioni; il teatro, la politica e la musica.
Agatha stava per chiederle se avesse avuto un cagnolino quando una forte spinta la fece cadere dal muretto. Sentì un bruciore sordo sulla guancia, e quando se la toccò vide le dita sporche di sangue.
<ma guarda! Questi negri ce li ritroviamo ovunque ultimamente, si moltiplicano come formiche.. ora dobbiamo sopportarli anche a scuola!! Sei venuta a venderci qualcosa per portare un po’ di soldi a casa?>
Agatha sentì gli occhi e il naso pizzicarle. Sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro.
Fu Sofia a salvarla da quella situazione.

Si alzò in piedi furiosa davanti a quel ragazzo con i capelli color paglia che rideva insieme ai suoi stupidi amici per la battuta appena fatta. Come si permetteva di trattare così la sua amica?!
<ehi voi! La volete smettere? Non siete affatto simpatici!!> protestò con le guance normalmente rosee ora rosse per la rabbia.
<senti mocciosetta, sta zitta> Sofia strinse i piccoli pugni e gli lanciò uno sguardo furioso e sprezzante degno di una regina.
Si chinò e aiutò Agatha ad alzarsi, poi corse all’interno dell’aula trascinando con se l’amica.
<maestra!! Davide ha spinto Agatha, guardi!> disse mostrandole il taglio sulla guancia di Aghata.

Maestra Giulia si alzò di scatto dirigendosi a passo veloce e con espressione arrabbiata nel giardino, di solito era di indole dolce, ma quando si arrabbiava faceva paura a tutti.
Camminò spedita verso Davide, che intanto cercava di allontanarsi.
<Sarti Davide! Vai subito dal preside e aspettami lì. Deciderò insieme ad Aghata ed al preside come punirti, ed esigo anche la motivazione per quel che hai fatto. Vai!>.
Mentre il ragazzo se ne andava stringendo i pugni, Giulia andò in fretta verso il bagno, bagnando di acqua gelida un pezzo di stoffa. Tornò dentro la classe e ripulì con delicatezza la ferita di Aghata, che si rivelò essere poco più di un taglietto causato da un sasso contro cui era andata a sbattere cadendo.
<non preoccuparti bambina mia, non è niente per fortuna. Ti prometto che quel ragazzo non ti infastidirà più> disse rassicurandola con un sorriso.
E mentre Sofia l’abbracciava ridendo, Aghata credette a quelle parole.
Strinse la sua nuova migliore amica tra le sue braccia e sorrise.

A cura di Chiara Boschi, allieva della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna

Il razzismo che divide

Come ogni lunedì mattina salii sull’autobus per andare a scuola. Dopo un po’ salì un ragazzo di circa 15 anni. Probabilmente anche lui andava a scuola, e cercò un posto dove sedersi, ma erano tutti occupati. Era libero solo un posto vicino ad un ragazzo di colore.
Il ragazzo di colore educatamente, con il suo italiano non perfetto, disse al ragazzo in piedi: “Se vuoi sederti c’è un poso vicino a me” ma il ragazzo con sguardo imbronciato gli rispose: “Io vicino ad un negro non mi siedo”.
A quel punto il ragazzo di colore scese alla prima fermata, con il volto triste, che cercava di nascondere con la sciarpa che aveva al collo.
Io avevo sentito parlare di razzismo, ma non immaginavo di poter assistere a questa scena.
Episodi come questo purtroppo possono succedere e avere anche conseguenze più gravi, se il ragazzo di colore avesse reagito poteva verificarsi una rissa.
Da quanto accaduto ho capito che il razzismo divide le persone, e il mondo invece ha bisogno che le persone siano unite per convivere.

A cura di Francesca Baldi, allieva della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna

Raul è ancora vivo

Firenze, ragazzino albanese di appena 15 anni, ieri nel tardo pomeriggio stava tornando a casa da un corso pomeridiano a scuola, quando è stato aggredito da una baby gang di 5 persone tra 25 e 30 anni.
Raul è un ragazzo solare, fragile, il figlio che tutte le madri vorrebbero spiega sua mamma. Raul era passato a prendere la carne per la cena, era appena uscito dal negozio quando cinque persone gli sono saltate addosso.
Hanno iniziato a picchiarlo, a buttarlo a terra e a calciarlo fino a quando hanno visto che lui non rispondeva più, non dava più cenni di vita e lo hanno lasciato li per terra, solo. Quando la gang è andata via è arrivata la gente che aveva assistito alla scena per soccorrerlo. Raul è stato portato con urgenza all’ospedale, ha subito un trauma cranico e adesso è in coma. La mamma parla al presente perché dice che Raul è ancora vivo, pieno di speranze.

A cura di un’allieva della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna

Pregiudizi

Al giorno d’oggi non ce ne rendiamo neanche conto, ma la nostra vita è piena di stereotipi e di pregiudizi. Ma cosa sono veramente queste cose?
Uno stereotipo è qualsiasi opinione acquisita sulla base di un’esperienza diretta o che prescinde dalla valutazione dei singoli casi mentre un pregiudizio è un’opinione preconcetta, capace di fare assumere atteggiamenti ingiusti.
Immaginare il mondo tra venti anni, senza stereotipi e senza pregiudizi è alquanto difficile visto che, al giorno d’oggi ce ne sono tantissimi sia da parte degli uomini che da parte delle donne. Per certi aspetti sarebbe un mondo positivo, i capitoli razzismo e discriminazione sarebbero chiusi.
D’altro lato saremmo portati a fidarci degli altri, di persone che non conosciamo e che potrebbero prenderci in giro.
Possiamo capire i tratti della personalità di una persona da come si veste o come si presenta, ma senza pregiudizi non riusciremo a farci un’idea esatta della persona davanti a noi. Un mondo senza pregiudizi e senza stereotipi sarebbe bello ma strano. Ogni città sarebbe piena di etnie diverse, gente che andrebbe d’accordo con tutti…Insomma un mondo quasi perfetto.

A cura di un’allieva della classe III C della Scuola Secondaria di Primo Grado “Moruzzi” di Ceretolo, per il progetto “Portiamo a scuola la comunicazione di genere: NarrAzione di Genere 2018”, finanziato dalla Regione Emilia Romagna