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Il FRANCESCO ZANARDI di SIMONA SAGONE: SVEGLIARE I MORTI

I bolognesi amano sentir parlare della loro città, dalle origini ad oggi. Mi domando a volte se non amino che questo. Sono forse le loro origini contadine (ci ritorneremo) che implicano questo. Bisogna che li riguardi, che succeda non lontano da loro perché si sentano coinvolti e interessati. Hanno quindi risposto in massa all’invito di Simona Sagone, autrice, regista e interprete strabiliante di « Zanardi : Pane, alfabeto e socialismo », spettacolo itinerante che si svolge in seno al cimitero storico e monumentale di Bologna. Bisognava pensarci. Fatto. È senz’altro uno dei migliori spettacoli che ho potuto vedere in questi ultimi vent’anni a, e su Bologna.
Si parte dal monumento funebre di Francesco Zanardi che è anche quello di suo fratello (morto tragicamente) e di suo figlio Libero (morto a causa dei fascisti). Più esattamente, ci si va in corteo informe ma rispettoso sotto lo sguardo sbalordito dei defunti. Si cammina tra i lumini delle tombe, tra gli spettri dei monumenti sovrastati da San Luca, dalle sue luci e, quella sera, da una luna bonaria e da un cielo clemente. Ha l’aria di una processione laica e pacifica o di una manifestazione clandestina. Ci sono anche dei bambini e un cane curioso.
Siamo accolti al sepolcro dal canto di una vecchia signora che cerca nella sua memoria annebbiata le prime informazioni – saranno numerose –, sulla vita e le opere di Zanardi. È aiutata in questo dai ricordi di suo padre – fervente sostenitore di Zanardi –, che le ha trasmesso il culto del grande uomo.
Il corteo riparte preceduto dalla fisarmonica di Salvatore Panu, guidato come un cieco nella notte da Sonny Menegatti, anello di trasmissione elettronica (web) dell’Associazione Youkali (l’isola virtuale). Si è presi dal sentimento ambivalente di disturbare i morti o di offrir loro una distrazione.
Si arriva stavolta su una vasta spianata che fa da auditorio – ci si può sedere sui gradini o sulle pietre. Là riposa e divaga Bologna, « la bella addormentata sopra un cumulo di letame ». È ancora Simona Sagone che interpreta la città, importunata nella sua quiete, civetteria ed abitudini. È un pezzo di bravura. Simona nella sua follia fa tutto ciò che un attore non deve fare, illustra le parole, le emozioni, le situazioni, i controsensi, l’isteria bolognese, si direbbe che cucina con una gestualità degna di un balletto di danza espressiva contemporanea. Diventa buffo, funziona, bingo! Magnifico. Bologna per un attimo disturbata si trasforma sotto la guida del suo nuovo sindaco al quale l’opposizione fa indossare quasi tutti i colori dell’arcobaleno politico. È la guerra, la Grande (1914) che diventerà “ la Prima”, periodo ben difficile, ma Zanardi, appoggiandosi sul suo « cumulo di letame » (la campagna circostante) farà di tutto per salvare la città dalla fame. Dovrebbe bastare per farsi rieleggere, ma…
Ripartiamo dietro la fisarmonica cieca. Camminiamo con qualche reticenza su delle lastre con dei nomi. Si vede che sono abituate. Avanti popolo! Ci fermiamo stavolta davanti a una magnifica figura giacente, quasi un calvario, è la tomba di Gnudi, sindaco per un solo giorno. Questa volta è la moglie di Zanardi, Angiolina (alias Simona) che ci aspetta. Ci racconta senza troppi fronzoli i colpi e le sevizie subiti da lei stessa e da suo marito nel corso del suo mandato. Mette in risalto un episodio un po’ « dimenticato », quello dell’attentato al Municipio di Bologna quando il neo eletto Gnudi doveva pronunciare un discorso al balcone che dà su Piazza Maggiore: 11 morti in tutto. « I fascisti son duri da morire », ci dice lei peraltro.
Si riparte in musica. Salvatore canta anche. Ci fermiamo davanti a una specie di cripta piena di mistero (quella delle vittime fasciste e nondimeno bolognesi). Il personaggio che incarna Simona questa volta in grembiule blu, è una bidella molto colorita: 31 anni nella scuola a far applicare nel suo ambito e a modo suo i precetti di Zanardi: uguaglianza di possibilità per le femmine e i maschi, aiuto alle famiglie bisognose, e tutte quelle cose che si dicevano quando « socialismo » faceva sperare nel « sol dell’avvenire ». Il bolognese è forse un po’ approssimativo, ma è comprensible e va bene perché così si comprende anche quale rivoluzione culturale si andava sviluppando. Sarà Giuseppe Dozza che continuerà l’opera di Zanardi.
Ultimo viaggio. Ci fermiamo stavolta davanti al Pantheon. Là Salvatore Panu ci interpreta il « Va’ pensiero », canto e fisarmonica, nella versione anarchica di Pietro Gori. Fa venire i brividi. Le porte del Pantheon si aprono, Simona appare fiammeggiante nelle vesti di una cantante russa Elena Rakovka, il Pantheon si è trasformato in Teatro Comunale, aperto gratuitamente alla popolazione povera al fine di iniziarla alle bellezze dell’Arte, della lirica in particolare ma anche all’arte e alla cultura in generale, alla necessità di sostenere gli artisti. Tutto è detto. È Elena Rakovka che racconta, è a lei che avevano affidato il ruolo di Francesca nella Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai rappresentata il 14 aprile 1919. Ne approfitta per rileggerci il discorso che aveva pronunciato Zanardi quel giorno, poi interpreta felicemente Francesca. Che voce! Gli applausi che seguirono furono infiniti, ci dice, interrotti solamente dal direttore d’orchestra Tullio Serafin, suo marito, che intonò «L’internazionale», ripresa dal pubblico. Noi Facciamo lo stesso. Eh sì, signore e signori, nel 2017, si canta l’Internazionale al Pantheon di Bologna con loro e con le lacrime agli occhi. Che serata! Bravi!

Segnaliamo l’ultima replica il 26 settembre, alla Certosa di Bologna, (lato chiesa) con ritrovo ore 20:30 per il ritiro biglietti. Prenotazione obbligatoria 3334774139 info@youkali.it.

Alain Leverrier